Breve guida ai pregiudizi che ha ancora il fumetto (nonostante tutto).
Ci sono ormai decine di definizioni di cosa sia un fumetto.
Il fatto che sia un linguaggio è ormai ovvio e consolidato. Che sia pure un linguaggio prettamente visivo, pure.
Ciò nonostante il fumetto ha ancora dei forti pregiudizi che continuano a tormentarlo, bias cognitivi che molte persone hanno nei suoi confronti. Il fumetto si porta appresso delle etichette scomode che è molto difficile da rimuovere.
Il fumetto non è un libro illustrato.
Non giriamoci intorno: è normale che si possa confondere un fumetto con un libro illustrato.
In effetti è una pila di fogli incollati e rilegati da delle copertine più o meno rigide. Nella stragrande maggioranza delle pubblicazioni di fumetti ci sono pure delle frasi da leggere (molte, anche troppe).
Qual è dunque la causa di questo grande fraintendimento?
La grande differenza è che un libro porta avanti la narrazione attraverso la sintassi, frasi, tutto ciò che riguarda la scrittura. Un romanzo è fatto parole, sole e semplici parole. Per capire di cosa tratta, per immaginarci un contesto, per affezionarci a un personaggio e alle sue vicende bisogna per forza di cose leggere le parole. Tutto qui.
La narrazione in un fumetto, invece, è portata avanti dalla consequenzialità delle immagini.
Questo significa che possiamo capire ambientazione, trama, personaggi e stile dando solo un’occhiata ai disegni e alle illustrazioni che compongono le tavole del fumetto.
A dirla tutta, esistono dei fumetti che sono completamente muti. Stiamo parlando di Gon di Masashi Tanaka, ad esempio. Le avventure del dinosauro più scorbutico del mondo sono comprensibilissime senza che ci sia nemmeno una parola.
La differenza tra i due formati sembra essere piuttosto labile, ma in realtà è molto profonda. Sono due modi completamente diversi di comunicare. Scambiarli e confonderli, dunque, è un grosso errore.
Il fumetto non è il cinema dei poveri.
Al contrario del libro, il fumetto non è nemmeno un subordinato castrato del cinema.
Andiamo, l’animazione e il cinema hanno sicuramente un grande influsso nel mondo del fumetto (Futura compreso). Tuttavia, i fumetti di inizio e metà novecento, ad esempio, avevano più influssi dal teatro.
Fino agli anni ’60/’70, infatti, il modo di concepire una vignetta era quello di raffigurare i personaggi a figura intera come se fossero su un palco bidimensionale. Pensiamo appunto ai Peanuts, Hagar the Horribile, o ai fumetti francesi come Tin Tin, Asterix o Lucky Luke.
Qual è la grande differenza con il cinema?
Lo spettatore che guarda un film o un cartone animato è definito uno spettatore passivo. Infatti la pellicola si muove avanti nel tempo indipendentemente dal tempo proprio dello spettatore. Sono il regista e il montaggio a decidere con che velocità mostrare le scene, i dialoghi e le sequenze, indipendentemente dalla nostra attenzione.
Il fumetto, come il romanzo, necessita invece di una lettura attiva. Senza l’attenzione del lettore e la sua concentrazione nel proseguire la narrazione, un fumetto non si leggerebbe da solo. Certo, nel caso dei romanzi hanno inventato gli audiolibri, ma un fumetto ha ancora l’effetto collaterale di dover essere guardato per essere compreso.
Questo porta anche a una seconda considerazione: non leggiamo tutti alla stessa maniera.
Ognuno di noi, infatti, ha il suo personale modo per poter decifrare una tavola di fumetto. Qualcuno legge prima tutte le parole di una pagina e poi la rilegge da capo osservando attentamente i disegni. Altri fanno esattamente il contrario: prima guardano tutte le vignette, e poi leggono i testi. Altri invece danno un’occhiata veloce alla vignetta, leggono il baloon e poi passano alla successiva.
Insomma, leggere un fumetto è una faccenda piuttosto seria e personale. Si può dire lo stesso mentre si guarda un film?
Il fumetto non è una cosa solo per bambini e ragazzi.
Purtroppo c’è ancora questa sciocca credenza che i fumetti sono solo robe per bambini.
Questa è una di quelle etichette che ci portiamo dietro da un bel po’ di tempo, da quando le case editrici puntavano quasi esclusivamente su un target leggero, frivolo.
Forte del gran numero di pendolari durante il boom del dopoguerra, l’editoria dell’epoca era basata infatti su un esercito di lettori occasionali.
I fumetti erano concepiti per essere la famosa “lettura da viaggio in treno“. Dovevano insomma intrattenere il giusto (i fumetti Bonelli sono ancora pensati per essere letti in massimo 40 minuti), avere una trama semplice in modo da poter essere seguita facilmente anche in un vagone pieno di bambocci starnazzanti, ma soprattutto dovevano costare poco.
Questi, a suo malgrado, sono stati gli ingredienti che hanno reso il fumetto nel corso dei decenni un medium di scarso valore. L’attenzione che le persone avevano per questo medium erano così basse che dopo la lettura solitamente i fumetti venivano gettati nella spazzatura. Era chiaro quindi che c’era una enorme differenza di percezione tra un romanzo rilegato e nobile, e un fumetto da quattro soldi letto solamente per riempire un buco libero.
Solo negli ultimi tempi questo concetto sta venendo fortemente messo in discussione. Da una parte grazie alla nobilitazione grafica che stanno avendo le nuove pubblicazioni sbarcate in libreria, con una copertina di pregio e una carta di qualità, ma anche soprattutto dal livello e dalla profondità che hanno raggiunto alcune opere recenti.
Insomma, il fumetto si sta nobilitando, ma ci sono ancora fortissimi pregiudizi che remano ancora contro. Però no, il fumetto, ormai, non è solo per lettori frivoli senza cultura.
Il fumetto non è la nona arte.
Questo è un appellativo che mi sta veramente antipatico.
La scala gerarchica delle arti (altamente opinabile) esisteva già da tempo. Ogni arte era associata ad una delle muse, e consisteva in:
- Pittura (inclusi il disegno, l’incisione e oggi la grafica digitale)
- Scultura (inclusi l’oreficeria, l’arte tessile, l’arazzo e l’origami)
- Architettura
- Letteratura (inclusa la poesia)
- Musica
- Danza
- Cinema (o recitazione, che anticamente riguardava solo il teatro)
Fu però il critico francese Claude Beylie a inserirci dentro l’ottava arte ( la radio-televisione) e infine la nona, ossia il fumetto.
Certo, la vita del fumetto come prodotto editoriale e commerciale è relativamente recente, questo è vero. Il linguaggio del fumetto è però antico, uno dei più illustri e istintivi.
La comunicazione attraverso una serie di immagini statiche collegate tra loro in una sequenza temporale la troviamo nelle pale d’altare medievali, sulla colonna traiana, nei linguaggi scritti dei popoli centroamericani, sulle piramidi, nelle incisioni rupestri…
Se chi scrive crede che già sia sciocco inserire le arti in una scala gerarchica inattaccabile, è altrettanto logico pensare che mettere al nono posto il fumetto solo perché è “l’ultimo arrivato” è piuttosto debilitante.
Quindi, per favore, un appello anche ai colleghi: smettiamola di sottovalutare il nostro linguaggio con questo titolo molto infelice.
Il fumetto non è la nona arte: è arte e basta.
Conclusioni.
In questa piccola rassegna abbiamo visto quali sono i pregiudizi che ancora infestano il buon nome del Fumetto.
Il fumetto è un’arte complessa, stratificata, che unisce varie forme di comunicazione per poter raccontare una storia o un messaggio in maniera unica, forse non ancora del tutto esplorata.
Liberarci da queste sgradevoli etichette aiuterà questo medium a raggiungere ancora più persone e aiuterà gli artisti ad esplorare ancora di più varie forme che non abbiamo ancora raggiunto.
In parole povere, in futuro potremmo leggere di grandissimi e meravigliosi fumetti.
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