L’atto, la sequenza e la divisione di una storia in scene.
Dopo avere creato una trama, c’è la necessità di organizzare in maniera chiara e intelligente la progressione narrativa. Già, ma come si suddivide una storia?
Il modo migliore per dividere in sezioni utili la nostra storia è quello di partire dal grande per andare verso il piccolo.
L’errore degli scrittori in erba é proprio quello di fare il contrario: partono dalle primissime scene cercando di imbastire un racconto senza avere a fuoco tutto il resto. Tuttavia, per una maggiore comprensione della reciproca valenza di queste parti, partiremo dai segmenti minori (beat, scena) per arrivare ai segmenti maggiori (atto, sequenza).
Il beat ( o battuta).
In campo musicale si è sempre cercato, qualunque fosse il genere della canzone, di scandirne la progressione con dei battiti più o meno veloci per dare un senso di avanzamento armonico e, soprattutto, tenere il giusto ritmo.
Ecco, il beat è come la battuta della batteria in una canzone. Al contrario della musica però non ha bisogno di essere costante e di mantenere il ritmo, ma è certamente l’elemento basico che caratterizza la progressione narrativa.
Il beat è un’azione basica che porta immediatamente ad una reazione, ossia il beat successivo.
Facciamo finta che Giovanni e Carlo stanno giocando a pallone. Giovanni calcia il pallone piuttosto forte (1° beat); il pallone arriva in faccia a Carlo, che cade a terra (2° beat); Giovanni corre verso Carlo per vedere come sta (3° beat), ma Carlo, piuttosto alterato, lo afferra e lo sbatte a terra (4° beat).
Come puoi vedere nell’esempio, un flusso di beat è una progressione azione/reazione. Perché funzionino bene c’è la necessità che debbano concatenarsi, ossia ogni beat (tranne il beat iniziale e quello finale) ha un beat che lo precede e di cui ne è la reazione/conseguenza, e a sua volta ne genera un altro.
I flussi di beat possono anche interrompersi e cambiare all’interno della stessa scena. in questo caso abbiamo dei segmenti di beat.
Mentre Chiara sta passeggiando nel parco, si accorge che i suoi due amici, Giovanni e Carlo, si stanno azzuffando (1° beat); Chiara corre loro incontro e comincia a separarli (2° beat); Giovanni e Carlo la guardano e, nervosamente, le dicono di farsi gli affari suoi (4° beat); Chiara, risentita, dà un calcio al pallone (5° beat); il pallone finisce sull’albero (6° beat); Giovanni e Carlo smettono di azzuffarsi e osservano ammutoliti il pallone incastrato tra le fronde (7° beat); Chiara, capendo di essere nei guai, alza i tacchi e scappa (8° beat).
L’entrata in scena di Chiara è un taglio rispetto alla progressione della zuffa tra Carlo e Giovanni, ma inserendosi nella scena provoca un nuovo segmento di beat, scatenando una azione/reazione differente.
Tom & Jerry e i Looney Tunes.
Un esempio di format televisivo basato esclusivamente sui beat sono i cartoni animati alla Tom & Jerry o i Looney Tunes.
Un episodio tipo di questi due format vede sempre scontrarsi due personaggi contrapposti che cercano di farsi i dispetti a vicenda.
La progressione tipo è proprio quella spiegata nell’esempio sopra: Tom vuole fare un qualcosa di interessante, ma Jerry gli rovina la festa. Allora Tom cerca di catturare Jerry, ma il topo crea una trappola e lo sfortunato gatto ci finisce in pieno, facendosi parecchio male.
Essendo un cartone muto, la progressione di Tom e Jerry si basa esclusivamente su azioni fisiche (fughe, salti, botte, inciampi, scivolamenti, ecc).
I Looney Tunes in questo senso, pur mantenendo la stessa progressione narrativa basata sui beat, inseriscono anche la variabile fornita dai dialoghi. In questo modo si cerca di avere anche reazione fisica a un’azione verbale (Bugs Bunny non ha bisogno di provocare una reazione nel suo avversario con un’azione, essendo un provocatore verbale).
Un’insieme di beat che hanno in comune lo stesso luogo, tempo ed azione narrativa, formano invece una scena.
La scena.
Una scena è l’insieme di beat (o segmenti di beat) uniti tra di loro da una precisa indicazione di tempo, luogo e azione.
Cambiare anche uno solo di questi tre fattori porta inevitabilmente ad un cambio radicale di scena, pur mantenendosi nello stesso tempo e luogo. Analizziamo uno ad uno questi tre fattori.
- Cambio di tempo: pur mantenendo la medesima ambientazione, fare un salto di qualche ora (esempio giorno/notte) viene percepita dal flusso narrativo come un cambio di scena, perché l’azione si è chiaramente interrotta. Questo però non deve essere confuso con un flashback momentaneo mentre un personaggio ricorda una circostanza passata per rafforzare il suo discorso attuale all’interno dei beat.
- Cambio di luogo: supponiamo che il tempo non faccia balzi in avanti, ma anche un semplice cambio di luogo può dare via a una nuova scena. in 1917, film di Sam Mendes girato in un finto piano sequenza, i due soldati inglesi passano dalla scena nelle trincee alla terra di nessuno, fino ad entrare nei bunker tedeschi. Nonostante non ci siano stacchi e balzi in avanti nel tempo, ogni cambio di luogo è da considerarsi una scena a sé stante. Questa però non è una legge fissa: ad esempio, se due personaggi stanno parlando mentre camminano in strada, e nel frattempo entrano in un fast food, ordinano da mangiare ed escono consumando il panino in macchina, il dialogo è l’elemento più importante della scena; il cambio dei vari ambienti è del tutto ininfluente.
- Cambio di azione: utilizzato soprattutto nel teatro, dove il cambio di tempo e luogo è molto più difficile, il cambio di azione è un elemento all’interno del flusso di beat che ne cambia radicalmente il corso. Può essere un nuovo personaggio che entra nella dinamica narrativa e la scombussola, o un colpo di scena che cambia radicalmente obiettivi o la percezione di alcuni personaggi.
Una scena cinematografica “tipo” solitamente cambia tutte e tre queste caratteristiche. Questo per non confondere troppo lo spettatore moderno, troppo incline a perdere l’attenzione con un niente, e fargli capire chiaramente che la storia sta prendendo una piega diversa. È nelle storie più elaborate, o appunto nelle trame teatrali, che questi tre elementi possono non essere immediatamente visibili.
I segmenti minori.
Abbiamo visto che il beat e la scena formano quello che abbiamo chiamato “i segmenti minori”, ossia strutture narrative semplici. Possiamo tranquillamente sbilanciarci nel dire che la scena è una piccola narrazione completa, in quanto ha presente al suo interno la formula della trama semplice.
Un’insieme di scene (da due a infinito) che hanno lo stesso fine o obiettivo narrativo, formano invece la prima dei “segmenti maggiori”, una struttura più organica che permette di realizzare storie leggermente più complesse: stiamo parlando della sequenza.
La sequenza.
Una sequenza é una somma di scene consecutive e con la medesima valenza narrativa.
Se il beat è azione/reazione e la scena è versione unicellulare di una trama semplice, definire cosa sia la sequenza comincia a farsi più difficile.
Nel Signore degli Anelli, la compagnia arriva nei pressi di Moria, cercando l’entrata. il loro obiettivo è quello di passare sotto le montagne nebbiose per raggiungere la parte orientale delle terre selvagge. Analizziamo la progressione narrativa:
- Nella prima scena, la compagnia giunge davanti ai cancelli di Moria, che però sono chiusi. Gandalf cerca di aprire il portale con qualche incantesimo, senza successo, dopo di ché si siede e comincia a pensare.
- (cambio di tempo). Nella seconda scena, la compagnia è seduta davanti alla porta sbarrata, probabilmente da ore, e Gandalf cerca di risolvere l’enigma per potere accedere alle miniere. Mentre Frodo risolve l’indovinello, le acque del lago cominciano ad agitarsi, e improvvisamente emerge il mostro a guardia di Moria.
- (cambio di azione). La compagnia cerca di difendersi, ma Frodo viene afferrato e sta per essere mangiato vivo. Legolas e Aragorn riescono a liberarlo, e i nove compagni riescono a rifugiarsi nelle miniere, dove però rimangono bloccati, senza possibilità di tornare indietro.
Queste tre scene formano una sequenza, perché sono concatenate in una progressione di azione/reazione. Il successivo viaggio nelle profondità di Moria non fa parte però della stessa sequenza, perché la concatenazione si è conclusa con la soluzione dell’enigma di accesso e il combattimento contro il mostro del lago.
Nonostante la fine della sequenza, la compagnia dell’anello non ha ancora raggiunto il suo obiettivo, ossia uscire vivi dalle miniere: questo perché raggiungere lo scopo finale è compito dell’atto. La sequenza, invece, ha come obiettivo l’avanzamento della narrazione all’interno dell’atto, per arrivare alla svolta.
L’atto.
Un atto é un segmento narrativo maggiore facente parte della trama che ne indica l’avanzamento. Un atto si differenzia da un altro quando cambia radicalmente a) la sua ambientazione b) la sua collocazione temporale c) quando cambiano i conflitti narrativi al suo interno.
Ritorniamo alla compagnia. Abbiamo detto che l’obiettivo di Gandalf è di passare sotto le miniere e raggiungere i boschi di Lothlorièn.
- Nella prima sequenza, la compagnia è riuscita ad accedere alle miniere sopravvivendo all’attacco del mostro del lago.
- Nella seconda la compagnia avanza delle profondità di Moria: in una scena scoprono i giacimenti di mithril, nella successiva Gandalf perde l’orientamento all’incrocio di vari percorsi e sono costretti a fermarsi. Una volta trovata la strada giusta, in una bellissima scena i viaggiatori percorrono il nanosterro, per arrivare alla tomba di Balin. La tomba presenta una svolta.
- Pipino fa rivelare la posizione della compagnia, e un’armata di goblin li cinge d’assedio, scatenando la battaglia. Sconfitto il troll di caverna, la compagnia fugge nuovamente nel nanosterro, cercando una via di fuga.
- Nelle profondità di Moria, però, un’antica creatura si è risvegliata: è il barlog di Morgoth. La compagnia raggiunge il ponte di khazad-dum, ma fuoco e fiamme sono ovunque. Il barlog si manifesta, e Gandalf è costretto a scontrarsi con lui per dare tempo ai suoi compagni di fuggire. La sequenza termina con il crollo del ponte e la scomparsa di Gandalf.
- La compagnia riesce a raggiungere il suo obiettivo e a uscire dalle miniere. Sono tutti scossi e piangono la morte della loro guida. Aragorn però li incalza affinché si rimettano presto in viaggio, prima che vengano inseguiti e assaliti dai goblin rimasti.
Un atto è appunto questo, un’insieme di sequenze narrative che abbiano un macro-obiettivo comune. Le sequenze possono essere due o addirittura decine, non c’è una regola. L’importante è che abbiano tutte una direzione comune e si muovano verso la risoluzione dell’obiettivo.
Quanti atti deve avere una storia?
Nel teatro, un atto equivale a una precisa parte del dramma definita nel tempo e nello spazio. Nella storia teatrale solitamente gli atti erano tre o cinque. Perché così pochi? Ovviamente per la relativa brevità dello spettacolo, e per la poca variabilità delle ambientazioni. Gli intervalli tra un atto e l’altro servivano per dare un senso di passaggio temporale, ma anche per dare il tempo di cambiare gli elementi del palco per suggerire un cambio di ambientazione del dramma.
Per un romanzo, una serie TV, una collana di fumetti o anche un film decisamente lungo, la suddivisione in tre o cinque atti é troppo limitante e senza alcun senso. Infatti gli atti possono essere potenzialmente infiniti. Finché la narrazione riesce a trovare un carburante narrativo per poter procedere, gli atti possono essere inesauribili. La vera abilità dello scrittore diventa quindi cercare di renderli unici e interessanti: due atti che abbiano obiettivi narrativi simili portano solamente alla noia.
Il punto fondamentale dell’atto é che deve presentare un macro-obiettivo narrativo da raggiungere, una tappa fondamentale per raggiungere il finale definitivo della trama.
Il climax.
Spesso tra un atto e l’altro sono presenti dei ganci emotivi e dei colpi di scena che sconquassano la progressione narrativa e ne fanno prendere una piega inaspettata. Molte volte però, per rendere il macro-obiettivo dell’atto finale più rilevante rispetto a quelli minori degli atti precedenti, c’è bisogno di creare una spinta narrativa dal pathos crescente.
Il climax narrativo è l’ultima sequenza di un atto principale in cui si hanno dinamiche sempre più impellenti e crescenti, fino alla risoluzione dell’obiettivo.
Gli ingredienti per la creazione di un buon climax sono molti, ma quelli che rimangono davvero fondamentali sono:
- Il conto alla rovescia: l’impellenza in questo caso è dato dal non avere più tempo da perdere, di essere veramente sul filo del rasoio. In Argo di Ben Afflek, il climax finale è dato dalla lentezza dell’aereo dal decollare per lasciare finalmente l’Iran, mentre la sicurezza sta facendo di tutto per fermarlo. In Interstellar, il pianeta coperto d’acqua presenta una corsa contro il tempo: Cooper e i suoi compagni devono riuscire a ritornare nella nave e fuggire prima che una nuova onda li spazzi via. Ovviamente il conto alla rovescia ha effetto se l’obiettivo viene risolto proprio all’ultimo secondo.
- Dare il tutto per tutto: non solo è necessario che i protagonisti cerchino di raggiungere l’obiettivo o risolvere la situazione, ma la sforzo deve essere essere altissimo, al limite dell’umano. Spesso in queste dinamiche il protagonista è a un passo dalla riuscita della sua missione, ma puntualmente qualcosa si mette in mezzo, o viene trattenuto per la giacchetta da un antagonista. Frodo è a un passo dal gettare l’anello nel monte fato, ma il potere malvagio riesce a corromperlo all’ultimo, e per di più Gollum compare sulla scena per riappropriarsene. In Ritorno al Futuro, Marty è pronto per ritornare nel 1985 e tra qualche secondo il fulmine si scaglierà sull’orologio del municipio, ma una raffica di vento stacca il collegamento elettrico: Doc deve riuscire in pochissimo tempo a riattaccare il cavo, ma il temporale è forte e ogni volta che sembra per riuscirci qualcosa va storto, aumentando così il senso di urgenza e impellenza.
- Forte componente emotiva: gli eventi estremi hanno sempre bisogno di una carica emotiva per essere efficaci. Che sia il sacrificio, una scelta morale straziante o il salvataggio in extremis di vite umane, la carica emotiva deve essere sempre al massimo in questi frangenti. Abbiamo già parlato della forte carica emotiva che produce la scomparsa di Gandalf dopo lo scontro con Moria, o la morte di Boromir nelle colline di Amon Hen. In Indiana Jones e l’Ultima Crociata, Indy ha un disperato bisogno di trovare il Graal per salvare suo padre, quasi in fin di vita. Obi Wan Kenobi sacrifica sé stesso per permettere a Luke, Leila e Han Solo di fuggire dalla Morte Nera.
L’effetto palla di neve.
Questo termine è stato coniato soprattutto per i film di Cristopher Nolan, che ne fa sempre un grande abuso, ma il meccanismo narrativo alle spalle è piuttosto standardizzato e utilizzato molto di frequente in varie storie.
Il principio di questo effetto sta nel creare una concatenazione di eventi partendo da una piccola, quasi insignificante azione, ma che nel breve tempo diventa una vera e propria valanga.
Si tratta dell’imprevedibilità dei sistemi complessi. Detto in due parole è l’effetto farfalla. Una farfalla batte le ali a Pechino e a New York arriva la pioggia invece del sole.
Jurassic Park
Per rimanere in tema, il furto di embrioni di dinosauro da parte di Dennis Nedry fa saltare la corrente in tutta l’isola, permettendo al tirannosauro e ai velociraptor di uscire dalle recinzioni e scatenare il disastro del Jurassic Park. Anche Pipino, facendo precipitare l’armatura del nano morto nel pozzo di Moria, fa risvegliare le orde di goblin che causeranno la battaglia nella tomba di Balin e lo scontro sul ponte di Khazad-dum.
Anche nei climax l’effetto palla di neve è molto presente. Molte volte l’approccio iniziale all’obiettivo finale è normale e organizzato, ma come al solito basta un piccolo insignificante errore per produrre una serie di ostacoli sempre più grandi e insormontabili, fino al fallimento totale della missione o allo sforzo sovrumano per salvare il salvabile.
Conclusioni: come suddividere la nostra storia e dividere in scene.
Ora che abbiamo capito i segmenti minori e maggiori che suddividono la nostra storia, dobbiamo però organizzarli. Abbiamo detto all’inizio che l’errore più frequente degli scrittori in erba è quello di cominciare a scrivere una storia direttamente dalla primissima scena, per poi definire di volta in volta quello che succederà.
Se però abbiamo fatto i compiti a casa e abbiamo creato una trama funzionale che racchiude la nostra storia, e in più abbiamo anche capito quali sono le sottotrame e gli intrecci, allora il metodo è molto semplice.
- Per prima cosa dobbiamo capire quali sono gli atti principali della nostra storia, ossia quei segmenti maggiori che presentano un obiettivo fondamentale per il raggiungimento della fine. Solitamente è facile distinguere gli atti tra di loro perché tra uno e l’altro ci sono gli snodi narrativi principali, i famosi ganci emotivi.
- Suddividere gli atti con le varie sequenze che lo compongono. Da questo momento possiamo tranquillamente mischiare tra di loro la trama principale con le varie sottotrame, anch’esse suddivise in atti (se ce ne sono).
- Una volta che abbiamo ben presente gli atti e le sequenze fondamentali, si cominciano a creare le scene. Le scene sono tutte quelle situazioni che portano al raggiungimento dell’obiettivo provvisorio della sequenza. Quindi è fondamentale che in ogni scena succeda qualcosa che porta in avanti la storia.
- Ora, finalmente, possiamo iniziare a scrivere. Non in maniera definitiva, però: la cosa più utile è sempre quella di creare una scaletta azione/reazione che compone la scena, in modo che la nostra scrittura non abbia tempi morti e che non risulti noiosa. Una volta trovata la nostra scaletta, possiamo finalmente dedicarci alla scrittura vera e propria.
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