immagine di copertina per l'articolo su cosa sono i conflitti narrativi e come sfruttarli al meglio

Il conflitto: il vero motore delle storie.

La vita e la nostra intera esistenza è fatta di conflitti. Da quando veniamo al mondo siamo in perenne competizione contro gli altri e (soprattutto) contro noi stessi. Quando siamo piccoli, entriamo in conflitto con gli altri bambini. Quando cresciamo ci scrontriamo con i nostri genitori, o con i nostri primi partner. Poi con i professori, a scuola, e con i capi/clienti quando ci catapultiamo nel mondo del lavoro. Contro i nostri figli, quando crescono, e contro i dolori fisici e le malattie quando invecchiamo.

Il conflitto è uno degli ingredienti essenziali della nostra esistenza. Tutti noi nel nostro profondo sognamo un mondo libero da guerre, ansie, paure e pregiudizi, ma questo sembra essere solo una pura utopia. La natura stessa è una perenne situazione conflittuale in cui non sembra mai esserci pace.

Molti credono che la condizione perfetta sarebbe un mondo libero dai conflitti, ma si sbagliano. Le religioni e le filosofie di tutto il mondo hanno sempre sostenuto che non è l’assenza dei conflitti la soluzione, ma il saper reagire ad essi in maniera positiva.

Il meglio del meglio non è vincere cento battaglie su cento, bensì sottomettere il nemico senza combattere.” (Sun Tzu)

Questo capitolo parla appunto di questo: cosa fa muovere davvero le storie? E come possiamo sfruttarlo a nostro vantaggio?

Il conflitto è la base della narrazione.

Una storia, un atto o anche semplicemente una scena senza un conflitto tra il protagonista e le forze avverse (che sia un personaggio o delle situazioni), non può essere definita narrazione. Nell’articolo su come creare una trama abbiamo già preso in esame il concetto avversativo, il MA, come ingrediente fondamentale per creare e sviluppare una storia. Questo ovviamente non significa che il protagonista debba obbligatoriamente prendere a mazzate qualcuno o che solo le storie di guerra possano definirsi narrazione. I conflitti, infatti, sono molteplici e via via molto profondi e complessi. In realtà non c’è ancora una schematizzazione ufficiale sui livelli di conflitto, ma nel nostro caso possiamo definire due grandi macro-aree che andremo a studiare: I conflitti contro gli altri (esterni) e i conflitti contro noi stessi (interni).

I conflitti esterni.

Conflitto uomo-natura.

Viviamo in mezzo a lei, e le siamo stranieri. Essa parla continuamente con noi, e non ci tradisce il suo segreto. Agiamo continuamente su di lei, e non abbiamo su di lei nessun potere. Sembra aver puntato tutto sull’individualità, ma non sa che farsene degli individui. Costruisce sempre e sempre distrugge: la sua fucina è inaccessibile… [J. W. GOETHE, Frammento sulla natura]

Il conflitto uomo vs natura è forse uno dei motori narrativi più antichi che abbiamo a disposizione. Fin dalla preistoria, la natura è sempre stato un mistero, e ancora oggi la scienza fa fatica a spiegare l’origine di certi fenomeni.

La natura non è nè buona nè cattiva, ma neutrale per definizione. Essa è presente ovunque, e può essere per l’uomo sia fonte di vita, che causa di sventure o tragici drammi. Un uomo che si perde senz’acqua nel deserto, o un gruppo di scalatori che tenta di conquistare l’Everest, o turisti che devono mettersi in salvo a causa di un maremoto che si sta abbattendo lungo i villaggi costieri… tutti questi personaggi devono fare i conti con l’ambiente che li circonda, prima che con loro stessi.

Il rapporto tra uomo e natura.

Il conflitto che si crea è quindi la definizione stessa del rapporto tra uomo e natura. Negli ultimi secoli l’operato umano è stato così intensivo che siamo riusciti a modificare, in molti casi permanentemente, interi ecosistemi. L’uomo ha fatto dell’antropocentrismo un mantra ai danni della natura stessa, depredando e modificando l’ambiente che lo circonda per renderlo confortevole al suo stile di vita. Ma la natura è qui per ricordarci che non è una risorsa da cui attingere a proprio piacimento, ma un equilibrio in cui l’uomo è, volente o nolente, solamente una piccola parte.

Possiamo modificare e dominare l’ambiente? O ne saremo per sempre vincolati? E se in futuro l’uomo avesse la tecnologia per creare nuovi ambienti su altri pianeti, avrebbe anche il diritto di distruggere a suoi piacimento quelli già esistenti?

Il conflitto sociale.

Il conflitto sociale rappresenta più comunemente le contrapposizioni sociali e ideologiche nei confronti di uno stato, di un’ideologia o di un gruppo di persone. In questa categoria appartengono figure leggendarie come Spartaco, lo schiavo/gladiatore ribelle contro la despotica repubblica romana, o Robin Hood, il fuorilegge che rubava ai ricchi avidi per aiutare i poveri oppressi.

Non solo, in scala più ampia possiamo inserire motivazioni di conflitto sociale anche nelle guerre civili e nello contro ideologico tra nazioni (la guerra fredda, ad esempio). I rivoluzionari come Robespierre o avventurieri idealisti come Garibaldi traggono la loro forza combattiva da disparità sociali, in nome della libertà e uguaglianza, coinvolgendo più persone possibili per rovesciare i propri nemici.

Il diritto all’auto-affermazione.

Ovviamente, questa tipologia di conflitti non si basa solo sugli spargimenti di sangue. Basta il silenzio della comunità, o il suo biasimo neutrale, per creare un conflitto sociale. Il movimento delle suffragette agli inizi del XX secolo rientra in una di queste categorie, come l’emancipazione delle persone di colore nella New Orleans degli anni 60′. Se entra in conflitto non appena si mette in dubbio dogmi culturali o si critica, anche in maniera pacifica, ideologie discriminanti.

I due conflitti sociali.

Per riassumere, si possono dividere i conflitti sociali in due categorie.

  • Conflitto popolare vs un’oligarchia: in questo caso la disparità sociale avviene tra una maggioranza impoverita e schiacciata dal potere e dalla ricchezza concentrata nelle mani di poche persone. Possiamo inserire in questa categoria i regimi dispotici del XX secolo, o lo strapotere delle multinazionali.
  • Emancipazione di una minoranza vs società: In questo caso c’è un gruppo ristretto di persone che lottano per avere uguali diritti nei confronti della maggioranza della popolazione. Rientrano tutte le categorie di segregazione razzista (Epartheid, schiavismo negriero americano, riserve indiane, genocidio degli armeni, Shoah e minoranze etniche in generale), ma anche i movimenti di diritti di voto alle donne del XX secolo, gli oppositori politici, le persecuzioni religiose e l’attuale emancipazione LGBT.

Il conflitto personale.

Se il conflitto sociale si manifesta solitamente nelle società complesse, si può dire che il conflitto personale è la stessa identica cosa, ma in scala minore. Quest’ultimo si esprime soprattutto all’interno del proprio circolo sociale, ossia i gruppi famigliari, amichevoli e lavorativi.

Il conflitto personale è il motore narrativo più comune ed efficiente di tutta la narrazione mondiale. Rientrano in questa categoria:

  • I conflitti con i propri genitori: i divieti infantili, i capricci per ottenere quello che si vuole, le grandi battaglie per il rientro a casa a un orario decente o per dormire a casa di amici, ma anche gli scontri generazionali e le contrapposizioni ideologiche tra genitori/figli.
  • I problemi di cuore: la competizione per una donna, i litigi con la fidanzata, i triangoli amorosi (un grande classico!), i tradimenti, gli attacchi di gelosia, ecc.
  • I litigi tra amici.
  • Gli scontri con i professori.
  • I conflitti al lavoro contro il proprio capo/cliente.

La situation comedy.

Se c’è un format narrativo che rappresenta al meglio il conflitto personale è quello della situation Comedy. Nelle sit-com solitamente abbiamo un ristretto gruppo di persone (solitamente intorno ai 7 personaggi o poco più) legate da un contesto sociale simile che entrano perennemente in conflitto tra loro. Il protagonista è accerciato da pochi personaggi molto caratterizzati, i quali, qualsiasi sia la motivazione narrativa dettata dal tema della puntata, iniziano a litigare e farsi dispetti a vicenda. Non solo: basta aggiungere un nuovo personaggio (che sia il medico, il netturbino o il presidente degli Stati Uniti) che immediatamente viene risucchiato dalle dinamiche interne del format senza possiblità di ritirarsi.

La sit-com come base per qualsiasi storia.

Il principio della sit-com è forse un po’ troppo basico, ma non si distacca molto da quello che succede nelle storie con molta più autostima. Cos’è la Compagnia dell’Anello se non un gruppo eterogeneo con un obiettivo comune ma stili di vita differenti? Anche Rocky e Apollo Creed sono due personaggi che fanno parte dello stesso circuito sportivo, anche se di estrazione sociale differente, così come Massimo Decimo Meridio e Commodo si influenzano tra di loro esattamente come Sheldon e Leonard in Big Bang Theory. 

Uno degli esempi forse più iconici dei tempi moderni è il circolo sociale degli Avengers, in cui più personalità differenti devono evitare di bisticciare tra di loro per far fronte a un obiettivo comune. Le antipatie e i conflitti di vedute tra i membri dei vendicatori fanno in modo che la trama vada avanti senza che per forza ci sia un cattivo stereotipato pronto a distruggere qualcosa in ogni scena.

I conflitti interni.

Conflitto contro Dio.

A prima vista sembra strano che un conflitto come quello tra uomo/Dio sia identificato come un conflitto interno, piuttosto che esterno. Questo perché Dio non è da intendersi dal punto di vista figurativo (Il michelangiolesco vecchio barbuto o Zeus, per intenderci), ma più un concetto esistenziale e filosofico che risponde alle domande: chi sono? Perché sono al mondo? Qual è lo scopo della mia vita?

Semplificando quasi all’eccesso, possiamo considerare il conflitto contro Dio l’antagonismo tra libero arbitrio/destino, caos con predestinazione, casualità con pianificazione della propria esistenza. Il personaggio in balia degli eventi si pone esattamente nel mezzo, non capendo se quello che gli succede è frutto solo di incalcolabili eventi casuali o se sta percorrendo una strada già predestinata.

Giungiamo quindi alla considerazione che Dio è l’unione di questi due opposti, contro i quali il protagonista è sia in conflitto, ma anche in cerca di risposte. Questa ricerca della verità coinvolge anche il lettore/spettatore, catapultandolo all’interno del dibattito filosofico quasi che sia lui il vero giudice in grado di dare il giusto responso alla diatriba.

Conflitto contro sè stessi.

L’ultima, grande tipologia di conflitto è quello contro il proprio IO, che ha un unico grande scopo: indagare nel buio profondo della nostra anima. Ognuno di noi è costantemente stritolato da domande esistenziali quali “sto facendo la cosa giusta?”, “sono una persona buona o cattiva?”, “Perchè non riesco ad essere felice?”. Porsi queste tipologie di domande aiuta a scandagliare il fondo dei nostri pensieri per capire non il cosa, ma il perchè pensiamo e agiamo in un determinato modo. Non sempre, però, troviamo le risposte, e quando sembra di averla trovata non è mai quella che ci aspetteremmo. Un’analisi così profonda ci mette faccia a faccia con le nostre paure, le nostre nevrosi e le perversioni più inconfessabilli. Accettarle senza giudicarle è il primo passo verso la libertà da noi stessi e dai nostri pensieri tossici. Anche la nostra autostima dipende da quanto riusciamo ad accettare e metabolizzare quello che si nasconde tra le pieghe del nostro IO. Nasconderle o ignorarle può solo causare infelicità e depressione.

La differenza tra quello che un personaggio vuole e quello di cui ha davvero bisogno.

In una delle lezioni di storytelling all’interno del progetto “Pixar in a Box”  è espresso un concetto a dir poco fondamentale per quanto riguarda il conflitto contro sè stessi. Molte volte (per non dire sempre) le battaglie che i nostri personaggi portano avanti nel corso delle loro avventure non sono motivati da reali bisogni interni. Viviamo in società così complesse che a volte queste ci “impongono” di vivere una determinata esperienza o di comportarci in un certo modo. Dobbiamo prendere una laurea, trovare un lavoro in un’azienda prestigiosa, dobbiamo sposarci, fare figli, avere una bella casa, andare in ferie al mare ad agosto e a sciare d’inverno, eccetera eccetera. Molte persone si sentono quasi in dovere nei confronti della società in cui vivono di comportarsi esattamente come ci si aspetterebbe da loro. Eppure molte volte, anche se raggiungono tutto quello che abbiamo elencato, si sentono infelici.

Cosa voglio davvero per me stesso?

Spesso i nostri personaggi affrontano la loro storia perchè si sentono in dovere nei confronti di qualcosa, o perché credono fermamente in ciò che sia giusto fare. Eppure, quando raggiungono un’introspezione così profonda tale da mostrare il vero volto della loro anima, si fermano e pensano: cos’è di cui ho davvero bisogno?

Farsi questa domanda non è semplice. Dare una risposta sincera, nemmeno. Perché c’è la possibilità che quello che davvero serve per elevarsi come persona ed essere felici sia esattamente il contrario di quello che si stava cercando così disperatamente. Rispondere a questa domanda significa mettere in dubbio la propria intera esistenza, i propri valori, i propri amori…e anche le aspettative degli altri.

La morte e rinascita spirituale.

Il conflitto contro sè stessi è proprio questo. Riuscire a distruggere le maschere e le illusioni che hanno nascosto fino ad ora i nostri reali bisogni ed essere in grado di accettarli, e farli propri, senza vergognarsi. Senza avere il timore di essere giudicati, soprattutto da sè stessi. Potremmo avere passato tutta la vita credendo ciecamente in qualcosa perché pensavamo fosse universalmente giusta, per poi capire che le cose davvero importanti erano altre. Ci si era illusi che la felicità fosse un oggetto, un traguardo, uno status da appendere al muro, quando quello di cui avevamo davvero bisogno per essere felici erano le cose semplici di tutti i giorni. Cose che, nel nostro essere cieci nel raggiungere i nostri obiettivi, avevamo sempre reputato senza valore.

Scelte e dilemmi.

Durante i ganci emotivi i nostri personaggi sono costretti a compiere delle scelte difficili. Come vedremo nella parte “struttura e intreccio”, la struttura narrativa è fatta in modo tale che il personaggio principale si scontri con scelte e dilemmi via via più profondi e complessi. Questo per mettere alla prova il suo carattere e far emergere i suoi lati nascosti, buoni o malvagi che siano. In “Prisoners” di Denis Villeneuve, a seguito del rapimento di sua figlia, il protagonista (Hugh Jackman) si trasforma da tranquillo padre di famiglia a criminale squilibrato, soprattutto dopo aver intuito chi possa essere il rapitore.

La chiave di questo meccanismo è che i drammi e i dilemmi morali devono essere spietati, con l’unico intento di mandare in tilt i nostri personaggi.  D’altronde, non si conosce davvero a fondo una persona finchè non si vede come reagisce sotto pressione. Così facendo, i dilemmi e le scelte distruggono le maschere superficiali della psiche, e trasformano una figura stereotipata in un personaggio profondo e complesso.

L’antagonista.

Dopo tutto quello che è stato detto sopra, la definizione di antagonista non è così scontata. Siamo portati a considerarlo banalmente come un semplice personaggio, ma non è affatto così. Non è solo un cattivo; il cattivo in sè non esiste.

L’antagonista è semplicemente una maschera che qualsiasi personaggio può indossare. In un certo senso, potremmo definirlo come tutto ciò che muove contro l’interesse e gli obiettivi del protagonista. Dal punto di vista psicologico, esso è lo specchio del protagonista: rappresenta le sue paure, le sue angosce… il lato oscuro della sua anima.

L’antagonista è qualsiasi forza avversa che si abbatte sul nostro personaggio principale.

  • Nel conflitto con la natura, l’antagonista può essere la potenza distruttrice di uno Tsunami, un deserto arido, una bufera di neve mentre si scala l’Everest, la sete che secca la gola in un deserto arido.
  • Nel conflitto sociale, l’antagonista diventa un governo dispotico, una nazione aggressiva e imperialista, delle leggi razziali, un gruppo di terroristi idealisti o una potente setta religiosa.
  • Nel conflitto personale, l’antagonista diventa finalmente un personaggio. Può essere il partner che ha deciso di troncare la relazione, il capo che non vuole dare l’aumento, il genitore apprensivo che vieta all’adolescente di andare alla festa scolastica o il capitano della squadra avversaria che non vede l’ora di farci mangiare la polvere.
  • Nel conflitto contro Dio, l’antagonista comincia a farsi più complicato. Esso diventa l’angoscia esistenziale, il destino avverso, il senso di impotenza nei confronti delle vicissitudini della vita o lo smarrimento di quando non si ha più nulla in cui credere.
  • L’ultimo, il più semplice ma anche il più complesso da descrivere, è il conflitto con sè stessi. L’antagonista si nutre delle nostre paure, dei nostri desideri reconditi e delle nostre perversioni sopite. Più noi cerchiamo di soffocarlo, più lui si rafforza e si nutre delle nostre nevrosi: il nemico per eccellenza.

Quando l’antagonista è una forza positiva.

Abbiamo detto che l’antagonista è la forza avversa che si frappone fra un personaggio e il suo obiettivo. Leggendo questa frase, potremmo definire tutti i super-eroi tecnicamente degli antagonisti.

Cos’è Spiderman se non l’antagonista dei piani diabolici di Norman “Goblin” Osborn? Cos’è Batman se non quello che deve fermare il chaos criminale di Joker? Cos’è James Bond se non l’antagonista dei piani malvagi della Spectre?

Protagonisti/antagonisti.

In questi casi i veri antagonisti sono proprio i nostri personaggi principali. Molte storie Hollywoodiane funzionano proprio così: un personaggio ha un obiettivo, e un altro deve ostacolarlo ad ogni costo. Fine. I ruoli però sono intercambiabili: in un caso, Indiana Jones potrebbe avere il compito di fermare i nazisti nella loro ricerca di una preziosa reliquia, diventando l’antagonista. In un altro, Indy potrebbe scoprire il luogo della tomba di un faraone egizio, e un’antica setta, custode dei suoi segreti, avrebbe il compito di fermarlo.

Insomma, il termine antagonista è stato molte volte abusato, e in molti fraintendono il reale significato di questo ruolo. Come abbiamo capito con questi esempi, non sempre è una connotazione malvagia, tutt’altro. L’antagonista è tutto ciò che si frappone ai conflitti e al cambiamento. è la forza che si erge a difesa della normalità, molte volte a scapito dell’innovazione e del futuro.

Conclusioni.

I conflitti fanno parte di noi stessi, della nostra specie, e del mondo in cui viviamo. Non sono eventi solo negativi, e non sempre portano a conclusioni malvagie. Al contrario, il conflitto è sinonimo di cambiamento, evoluzione, stravolgimento. Capire questo concetto è fondamentale per chiunque voglia cimentarsi nel scrivere storie.

I conflitti permeano costantemente la nostra vita, sin da quando nasciamo fino al nostro ultimo respiro. Ci fanno crescere e raggiungere il lato più nascosto e profondo di noi stessi. Il segreto non è evitarli, ma saperli affrontare nel migliore dei modi.

come dividere una storia in scene, sequenze e atti
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